«Una concezione idealistica mira a concepire lo stesso assoluto, il tutto, come idea: ed è perciò intrinsecamente idealismo assoluto. Ma assoluto l’idealismo non può essere se l’idea non coincide con lo stesso atto del conoscerla; perché – è questa la più profonda origine delle difficoltà in cui si dibatte il platonismo – se l’idea non fosse lo stesso atto per cui l’idea si conosce, l’idea lascerebbe fuori di sé qualche cosa, e l’idealismo pertanto non sarebbe più assoluto»
(Giovanni Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro)
Giovanni Gentile è stato uno dei filosofi più influenti dell’Italia del XX secolo, noto principalmente per il suo sviluppo dell’attualismo e per il suo ruolo attivo nella politica, in particolare durante il regime fascista. La sua filosofia e le sue teorie educative hanno avuto un impatto significativo sul pensiero italiano, influenzando non solo la cultura ma anche il sistema educativo del paese.
Nato ad Castelvetrano, Sicilia, nel 1875, Giovanni Gentile si affermò come uno dei pensatori più promettenti della sua generazione. La sua formazione avvenne presso l’Università di Pisa, dove successivamente iniziò la sua carriera accademica. Gentile non fu solo un filosofo ma anche un attivo partecipante alla vita politica italiana, collaborando strettamente con il regime fascista. La sua adesione al fascismo, che culminò nella redazione della dottrina del partito, fu una fase controversa della sua vita, che influenzò profondamente la sua carriera e la sua reputazione postuma. La sua morte, avvenuta nel 1944 a Firenze per mano di Bruno Fanciullacci, partigiano comunista dei Gruppi di Azione Patriottica, fu tragica e violenta, segnando la fine drammatica di un uomo che aveva profondamente inciso nella storia italiana.
Il Pensiero Filosofico di Giovanni Gentile
Gentile è meglio conosciuto per il suo sviluppo dell’attualismo, una corrente filosofica che pone l’atto del pensare come realtà fondamentale e unica. Secondo l’attualismo, l’essere è l’atto puro del pensare, che non ammette divisioni o separazioni tra soggetto e oggetto. Questa visione rappresenta una rottura significativa con la tradizione idealista, inserendosi in un dialogo critico con filosofi come Hegel e Berkley. L‘individuo e il suo contesto sono inseparabili e coesistenti solo attraverso l’atto del pensare.
Nel contesto filosofico, Gentile si distingueva per la sua critica al positivismo e al materialismo, proponendo invece una realtà dinamica e sempre in divenire. La sua filosofia aveva implicazioni non solo teoriche ma anche pratiche, influenzando il modo in cui si concepiva l’educazione, la cultura e la politica.
Gentile e la Pedagogia
Nel campo dell’educazione, Giovanni Gentile lasciò un segno indelebile come ideologo della riforma scolastica dell’Italia fascista, nota come Riforma Gentile. La sua visione pedagogica era fortemente influenzata dal suo attualismo, vedendo l’educazione come un processo dinamico e attivo in cui insegnante e studente sono coinvolti in un continuo scambio intellettuale.
Gentile considerava l’educazione non solo come trasmissione di conoscenza ma come formazione dell’individuo, un processo attraverso il quale lo studente diventa un essere pensante e attivo. Questo approccio enfatizzava il ruolo centrale dell’insegnante come guida e modello, e il curriculum scolastico era visto come un mezzo per sviluppare non solo la mente ma anche il carattere dello studente.
La riforma introdotta da Gentile ebbe effetti duraturi sul sistema educativo italiano, sebbene alcune delle sue idee fossero successivamente criticate per l’eccessiva enfasi sull’ideologia rispetto all’indipendenza intellettuale e critica e per la concezione elitaria, antimoderna e dichiaratamente antidemocratica dell’istruzione superiore, il cui accesso, secondo il filosofo, doveva rimanere riservato agli allievi di maggiore talento oppure a quelli di famiglia facoltosa:
«Gli studi secondari sono di lor natura aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori […]; perché preparano agli studi disinteressati scientifici; i quali non possono spettare se non a quei pochi, cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali umani.»
G. Gentile, L’unità della scuola media e la libertà degli studi, 1902.
Gentile e il Fascismo
Il coinvolgimento di Giovanni Gentile con il regime fascista è uno degli aspetti più controversi e dibattuti della sua biografia. Gentile non solo appoggiò il fascismo ma fu anche un attore chiave nella formulazione della sua dottrina intellettuale, redigendo il “Manifesto degli intellettuali fascisti” nel 1925, che legittimava il regime agli occhi della cultura italiana e internazionale.
La sua filosofia dell’attualismo fu utilizzata per sostenere l’ideologia fascista, in particolare l’idea di uno stato etico in cui l’individuo si realizza pienamente all’interno dello Stato. Questa visione si allineava con la concezione fascista dello stato totalitario, dove l’individuo e lo Stato sono integrati in un unico organismo vivente.
Tuttavia, la collaborazione di Gentile con il fascismo non fu priva di complessità e sfumature. Sebbene sostenitore del regime, mantenne una certa indipendenza di pensiero, e alcune delle sue idee filosofiche non si allineavano completamente con la prassi e la retorica fascista.
Eredità e Critiche
L’eredità di Giovanni Gentile rimane oggetto di ampio dibattito. La sua influenza sul pensiero filosofico e sull’educazione in Italia è indiscutibile, ma il suo legame con il fascismo ha inevitabilmente gettato un’ombra sulla sua figura. Dopo la caduta del fascismo, molte delle sue teorie e delle sue riforme furono riconsiderate e, in alcuni casi, rigettate.
Critici contemporanei e postumi hanno spesso messo in discussione la sua adesione al fascismo, interrogandosi su come un filosofo del suo calibro potesse sostenere un regime totalitario. Alcuni hanno interpretato il suo attualismo come una filosofia che, pur potente, si prestava a interpretazioni e applicazioni politiche autoritarie.
Per approfondire:
Origini e dottrina del Fascismo, Giovanni Gentile – Benito Mussolini.
Manifesto degli intellettuali fascisti, Giovanni Gentile.
Fascismo e cultura, Giovanni Gentile.
The Philosophic Basis of Fascism, Giovanni Gentile.
Estratti dal testo del Manifesto degli Intellettuali Fascisti.
«Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana, ma non privo di significato e interesse per tutte le altre. Le sue origini prossime risalgono al 1919, quando intorno a Benito Mussolini si raccolse un manipolo di uomini reduci dalle trincee e risoluti a combattere energicamente la politica demosocialista allora imperante. La quale della grande guerra, da cui il popolo italiano era uscito vittorioso ma spossato, vedeva soltanto le immediate conseguenze materiali e lasciava disperdere se non lo negava apertamente il valore morale rappresentandola agli italiani da un punto di vista grettamente individualistico e utilitaristico come somma di sacrifici, di cui ognuno per parte sua doveva essere compensato in proporzione del danno sofferto, donde una presuntuosa e minacciosa contrapposizione dei privati allo Stato, un disconoscimento della sua autorità, un abbassamento del prestigio del Re e dell’Esercito, simboli della Nazione soprastanti agli individui e alle categorie particolari dei cittadini e un disfrenarsi delle passioni e degl’istinti inferiori, fomento di disgregazione sociale, di degenerazione morale, di egoistico e incosciente spirito di rivolta a ogni legge e disciplina. L’individuo contro lo Stato; espressione tipica dell’aspetto politico della corruttela degli anni insofferenti di ogni superiore norma di vita umana che vigorosamente regga e contenga i sentimenti e i pensieri dei singoli. Il Fascismo pertanto alle sue origini fu un movimento politico e morale. La politica sentì e propugnò come palestra di abnegazione e sacrificio dell’individuo a un’idea in cui l’individuo possa trovare la sua ragione di vita, la sua libertà e ogni suo diritto; idea che è Patria, come ideale che si viene realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione storica determinata e individuata di civiltà ma tradizione che nella coscienza del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si fa personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e missione. (…) Di qui il carattere religioso del Fascismo. Questo carattere religioso e perciò intransigente, spiega il metodo di lotta seguito dal Fascismo nei quattro anni dal ’19 al ’22. I fascisti erano minoranza, nel Paese e in Parlamento, dove entrarono, piccolo nucleo, con le elezioni del 1921. Lo Stato costituzionale era perciò, e doveva essere, antifascista, poiché era lo Stato della maggioranza, e il fascismo aveva contro di sé appunto questo Stato che si diceva liberale; ed era liberale, ma del liberalismo agnostico e abdicatorio, che non conosce se non la libertà esteriore. Lo Stato che è liberale perché si ritiene estraneo alla coscienza del libero cittadino, quasi meccanico sistema di fronte all’attività dei singoli. (…) In secondo luogo questa piccola opposizione al Fascismo, formata dai detriti del vecchio politicantismo italiano (democratico, reazionalistico, radicale, massonico) è irriducibile e dovrà finire a grado a grado per interno logorio e inazione, restando sempre al margine delle forze politiche effettivamente operanti nella nuova Italia. E ciò perché essa non ha propriamente un principio opposto ma soltanto inferiore al principio del Fascismo, ed è legge storica che non ammette eccezioni che di due principi opposti nessuno vinca, ma trionfi un più alto principio, che sia la sintesi di due diversi elementi vitali a cui l’uno e l’altro separatamente si ispirano; ma di due principi uno inferiore e l’altro superiore, uno parziale e l’altro totale, il primo deve necessariamente soccombere perché esso è contenuto nel secondo, e il motivo della sua opposizione è semplicemente negativo, campato nel vuoto. Questo sentono i fascisti di fronte ai loro avversari e perciò hanno una fede inconcussa nel trionfo della loro parte e non transigono; e possono ormai con pazienza longanime attendere che le opposizioni, come hanno abbandonato il terreno legale della lotta in Parlamento, finiscano col persuadersi della necessità ineluttabile di abbandonare anche quello illegale, per riconoscere che il residuo di vita e di verità dei loro programmi è compreso nel programma fascista, ma in una forma balda, più complessa, più rispondente alla realtà storica e ai bisogni dello spirito umano.
Allora la presente crisi spirituale italiana verrà superata. Allora nel seno stesso dell’Italia fascista e fascistizzata matureranno lentamente e potranno infine venire alla luce nuove idee, nuovi programmi, nuovi partiti politici.
Gli intellettuali italiani aderenti al Fascismo convenuti a Bologna per la prima volta a congresso (29-30 marzo) hanno voluto formulare questi concetti e ne vogliono rendere testimonianza a quanti, in Italia e fuori d’Italia, desiderino rendersi conto della dottrina e dell’azione del P.N.F.»
(Giovanni Gentile)