Santajusta è un romanzo storico di Alfredo Pitta. Racconta le gesta del marchese Federigo (o Drigo) di Montecorvino, detto “Santajusta“, il prototipo del cavaliere “giusto”, una sorta di Robin Hood italiano, che come nelle leggende inglesi rubava ai ricchi, ossia ai signori francesi, per dare ai poveri, i lucerini angariati dai nuovi padroni d’oltralpe. Il romanzo è ambientato in gran parte a Lucera, nel periodo immediatamente successivo alla sconfitta e morte di Manfredi, erede di Federico II di Svevia: nel periodo federiciano, la città di Lucera era abitata prevalentemente da coloni saraceni, deportati dalla Sicilia dove avevano costituito una temibile enclave nella regione montuosa centro occidentale dell’isola, da cui partivano per incursioni e saccheggi. Tuttavia, costoro, una volta trapiantati in Capitanata, con il tempo divennero fedeli e irriducibili sudditi dell’imperatore svevo, tanto che, dopo la Battaglia di Benevento e la resa della città agli Angioini, ormai vincitori, dopo poco tempo iniziarono a cospirare in favore dell’ultimo erede degli Svevi. L’autore immagina che un nutrito gruppo di essi si dia alla macchia nei rigogliosi boschi che in quei tempi circondavano la città: questi saraceni, uniti ad altri ghibellini cristiani sbandati, detti i “Maimoni”, sono guidati, appunto, dal cavaliere Santajusta. La parte più avvincente del romanzo è ambientata durante l’assedio del 1268-69: dopo la Battaglia di Tagliacozzo, e la tragica morte di Corradino a Napoli, Santajusta e i suoi si asserragliano nella città approntando le difese, resistendo disperatamente al lungo assedio di re Carlo I d’Angiò, fino alla tragica resa finale del 27 agosto 1269.

Alfredo Pitta (Lucera 1875 – Roma 1952) fu autore principalmente di romanzi gialli e di cappa e spada. Tradusse inoltre romanzi di autori francesi, inglesi, tedeschi e russi per gli editori Sonzogno e Mondadori.

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