Dopo la caduta dei regimi comunisti dell’Europa centro-orientale, chi si aspettava un’Europa più “democratica” potrebbe essere stato ampiamente deluso e non perché dalle ceneri dei governi comunisti non siano “sorti” governi democratici ma perché quest’ultimo termine, adattato alle esperienze storiche e alla tradizione di quest’area, ha creato modelli ibridi vagamente ispirati a quelli culturali occidentali e si è colorato, con buona frequenza, di caratteristiche sui generis ampiamente appoggiate dalla popolazione. Il passato, neanche tanto remoto di quest’area, ha inciso sulle scelte politiche e sociali operate dai partiti andati al potere dopo il crollo del muro di Berlino. Sarebbe davvero arduo tratteggiare in una sintesi, la quantità di riflessioni che uno storico può fare conoscendo le diverse storie nazionali ma proveremo a farlo, non tralasciando quelle che sono le peculiarità storiche e i percorsi di formazione delle identità statuali all’interno di un sistema complesso di popoli ed etnie per secoli in balia di tre imperi multietnici, quello turco-ottomano, quello austro-ungarico e infine quello russo. Questa regione europea continua a trasmettere suggestioni generalmente incomprese sulla post-modernità che spesso sembrano richiamare antiche e nostalgiche pretese di grandeur che hanno reso alcune élite etnopolitiche particolarmente agguerrite durante l’età federale e durante la guerra civile degli anni Novanta dello scorso secolo. Mezzo secolo di socialismo reale, indagato e declinato in ogni suo aspetto dallo storico Antonello Folco Biagini, spazzato via in poco meno di due anni, dal 1989 al 1991, un arco di tempo che ha ricollocato lo spazio est e centroeuropeo all’interno della secolare storia europea seppur confinandolo in una sorta di mondo parallelo.

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