IaLab
Veronica Aspis non avrebbe confidato a nessuno, nemmeno a se stessa, la vera ragione per cui in quella tempestosa notte invernale serpeggiava tra gli oscuri meandri del Dipartimento della Difesa. Scese un’altra rampa di scale per poi imboccare un androne costellato di porte chiuse che frantumavano la grigia monotonia dell’ambiente. La scritta Vietato l’accesso suonava come un monito in quel surreale scenario. Quasi avvertiva il vento delle intelligenze che nelle ore precedenti avevano elaborato dati e formulato audaci teorie. Si fermò all’ingresso di un ufficio dove un austero John McCarthy la osservava incuriosito. Il volto dell’’eminente informatico troneggiava in una gigantografia che occupava buona parte della parete adiacente. Era il laboratorio di Intelligenza Artificiale.
[…]
Artificial Medium
Si avviarono verso il bar che si affacciava sulla strada di fronte. Si chiamava Albatros ed era il bar di una vecchia stazione ferroviaria dismessa da tempo. Era diventato il punto di ritrovo dei dipendenti della sezione distaccata del Dipartimento della Difesa che sorgeva nel centro città, in una zona un tempo sede di una fabbrica di vetri. Adesso, i suoi uffici e laboratori si annidavano attorno all’alta ciminiera, unica superstite della vecchia vetreria.
«Buon giorno, ragazzi. Cosa prendete?» chiese la barista, sfoderando uno sfavillante sorriso.
«Un cappuccino» rispose Veronica.
«Un cappuccino anche per me» aggiunse distrattamente Rudi. All’improvviso afferrò la ragazza per un braccio, quasi trascinandola lontano dal bancone.
«Hai notato come ci guardano tutti?» le sussurrò in un orecchio.
«Guardano come?» chiese Veronica, dopo aver lanciato una rapida e furtiva occhiata agli astanti.
«Ehi!» fece Rudi, avvicinandosi a un tavolino dove c’era un giornale buttato su una sedia, aperto sulla pagina della cronaca locale.
«Sedute spiritiche al Dipartimento della Difesa» lesse rapidamente, mostrando il quotidiano a Veronica.
«Una equipe di fisici dichiara di aver avuto contatti con i defunti attraverso un’Intelligenza Artificiale. Le presunte comunicazioni sarebbero avvenute tramite l’invio di sms a una scienziata del gruppo. I messaggi, provenienti dall’Intelligenza Artificiale, riguarderebbero alcuni particolari della vita del fidanzato della studiosa, tragicamente scomparso mesi or sono»
«Dio mio!» s’infuriò Veronica.
«Ma chi può essere stato a fornire questa notizia?» aggiunse subito dopo, accartocciando il giornale come se avesse voluto farlo a pezzettini.
«I cronisti ne sanno una più del diavolo» osservò mestamente Rudi. «Chissà, forse c’è una talpa al Dipartimento…»
«Ecco Tino!» riprese la ragazza, indicando la porta a vetri del bar.
Un ragazzo allampanato dalle spalle aguzze e il volto emaciato fece il suo ingresso. Indossava un trance nero che assieme ai capelli scurissimi, gli conferiva un aspetto decisamente spettrale.
«Cosa succede? Avete una faccia…» chiese appena si avvicinò.
Rudi gli mostrò il giornale, dopo averlo ricomposto.
«Accidenti… » sospirò Tino leggendo l’articolo.
«I cappuccini si raffreddano» abbaiò la barista.
«Cosa ne pensi?» gli chiese Rudi avvicinandosi al bancone. «Sei tu l’informatico del gruppo»
«Cosa ne penso?» rispose Tino, riverberando la propria voce. «Non ne ho la più pallida idea…»
«Mio marito è morto sei mesi fa…» fece una voce gelida alle loro spalle.
Si voltarono all’istante per trovarsi faccia a faccia con una giovane donna il cui volto esibiva un paio di vistose occhiaie.
«Vorrei mettermi in contatto con lui…» continuò.
«Dio santo!» mormorò Veronica, girandosi verso il bancone. La barista osservava la scena con le braccia incrociate. Nel frattempo un angoscioso silenzio era calato nel locale, assorbendo le voci dei presenti. Era come se qualcuno avesse calato un macabro sipario sulla scena chiassosa del bar.
«Aiutatemi, vi prego» riprese con forza la donna, afferrando un braccio di Rudi.
«Siamo scienziati, non ciarlatani» rispose aspramente quest’ultimo, sedendosi sullo sgabello.
La donna non disse nulla. Dopo un po’ girò sui tacchi e sparì.
«Potevi risparmiarti la battuta» lo ammonì severamente la barista.
«Non ne possiamo più con questa storia» replicò asciutto Rudi sorseggiando il cappuccino.
«Ma i messaggi… è tutto riportato sui giornali» obiettò la barista, facendo cenno al quotidiano sul bancone.
«Dannazione! Ci dovrà pur essere una spiegazione! Magari è qualcuno che si sta divertendo alle nostre spalle!»
All’improvviso la suoneria di un cellulare riverberò inseguendo le note della IX di Beethoven. La musica continuò per una manciata di secondi per poi svanire di colpo come se fosse stata fagocitata da un universo parallelo. Era lo smartphone di Tino. Gli squilli furono seguiti dalla notifica di arrivo di un sms. L’informatico afferrò febbrilmente il telefonino.
«Allarme!» strillò. «Presto al laboratorio!»
Scattarono come molle, abbandonando il bar con gran furia. Fuori cadeva una pioggia battente abilmente scrollata dai pesanti pastrani dei militari del corpo di guardia del dipartimento. Attraversarono quasi di corsa i varchi elettronici.
Tratto da X-noise di Marcello Colozzo (di prox pubblicazione)