C’è un’ora, nel Sud, in cui il tempo sembra sospendersi a mezz’aria, senza peso di gravità. È la controra — quel lembo incandescente del giorno in cui il sole si fa assoluto, le voci si ritirano, e le case trattengono il respiro. È in quell’ora rovente che l’ombra si concentra solo in un punto e che spaventose creature percorrono il cielo: Giuditta aleggia con la testa Oloferne ancora grondante di sangue. In questa soglia di luce e silenzio, dove il reale si sfalda e la memoria si fa più nitida, si muovono le poesie di questa raccolta.
Controra è un viaggio interiore che ha il passo lento della nostalgia e il peso lieve delle cose che non passano. Le stanze assolate di Gaeta, la buffagna che sale dai muri, la canicola che piega le persiane e fa tremare l’aria: tutto diventa scenario e simbolo di un’esistenza che cerca senso nel frammento, nel ricordo, nella voce che non risponde più.
Le liriche si muovono tra assenze e presenze sospese: la madre, figura remota e luminosa, che appare tra i gesti quotidiani e le ombre delle stanze; il padre, pescatore silenzioso, che torna dal mare con la schiena curva e il sale nelle mani, e come da corredo altre ombre silenti non meno intense e depositarie di antichi ristori. Ma più ancora che ritratti familiari, questi sono echitracceimpronte lasciate nella sabbia del tempo.
L’impianto è esistenzialista, asciutto, ma mai arido. La domanda sul senso dell’essere si insinua tra le crepe dei muri, tra le pale del fico d’India, tra le reti sarcite con dita stanche, in un linguaggio che si tinge di regionalismi come pennata, mallarda, zirro… e che abbraccia allotropi ricercati: cladidi, lepisma, caftano… o neologismi come l’argentile.Non c’è retorica, né consolazione: solo la consapevolezza che la memoria è un luogo dove si torna per cercare ciò che non si può più toccare, ma che continua a vivere nei dettagli — una tovaglia azzurra, una voce che chiama da lontano, una persiana socchiusa.
In queste poesie, il Sud non è sfondo, ma carne e respiro ed ha il corpo di Gaeta. È un Sud interiore, fatto di luce che acceca e ombra che consola. È il luogo dove il tempo si piega, e la controra diventa metafora dell’anima: un’ora vuota e piena insieme, dove tutto tace e tutto parla.

Cosmo Pasciuto è nato a Formia il 28 marzo 1972. Vive a Gaeta ed insegna Italiano e Latino presso l’Istituto Superiore Teodosio Rossi di Priverno. Ha conseguito la laurea in Lettere, presso L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dopo aver perfezionato lo studio della Letteratura si è appassionato alla Filosofia, in particolar modo ad Hegel e all’idealismo tedesco. Appassionato soprattutto di lingue classiche ha perfezionato le sue conoscenze linguistiche moderne per il Francese (ha pubblicato anche in lingua) e conosce l’Inglese l’Esperanto (di cui ha pubblicato due libri). Ama dipingere su tela, con tecnica mista, personaggi e soggetti di ambito letterario (alcuni dei lavori hanno accompagnato il titolo di copertina o la presentazione dei libri). Dopo avere esordito con la raccolta di racconti E nessuno risponde è risultato finalista di poesia al Premio De Libero per tre edizioni consecutive (per la xxxvii rassegna poetica ha presentato Pericle sul Parnaso). Apprezzato per i romanzi L’Acchiappanuvole e Il discepolo di Hegel, ha all’attivo diverse pubblicazioni e scrive saggi di Narratologia per LibriCK la rivista degli scrittori.

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