Le brevi riflessioni e le opere, elaborate e raccolte in questo fascicolo, sono nate per l’intima necessità di esprimere le emozioni e i sentimenti, provati e vissuti quotidianamente durante l’incalzante e drammatico evolversi della pandemia da Covid 19. Ma anche per affermare convinzioni, etiche e religiose, che orientano la nostra esistenza nelle scelte di vita e nei comportamenti, nei rapporti umani e nel confronto con le problematiche della contemporaneità.
Un impellente ed urgente desiderio di “condividere” quanto vivevamo, “fuori e dentro” di noi, dello straordinario “tempo sospeso” imposto dall’emergenza sanitaria.
Tito Rossini nasce nel 1963 a Formia dove vive e lavora. Dopo il Liceo Artistico si diploma in Pittura nel 1985 presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Partecipa alla Quadriennale Romana del 1996, è vincitore nel 2003 del prestigioso Premio Michetti ed è invitato nel 2011 alla 54^ Biennale di Venezia. Nel 2013 gli viene assegnata la Medaglia del Presidente della Repubblica alla XXIV Edizione del Porticato Gaetano. Dal 2017 una collezione di 38 opere è collocata permanentemente presso la sede del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, per la Collezione d’Arte Contemporanea dell’Ateneo Romano.
È un protagonista di rilievo nel panorama artistico nazionale per il recupero dei valori legati alla tradizione della pittura italiana del ‘900, da Casorati a Carrà, da Morandi a Oppi. Duccio Trombadori, Guido Giuffrè, Marco Di Capua ed altri storici e critici d’arte hanno associato l’opera di Tito Rossini alla Scuola Romana e al recupero del realismo magico. Egli spicca, infatti, nel panorama dell’arte contemporanea per la cura con cui esprime paesaggi, nature morte, interni domestici dai tratti riconoscibili, eppure appartenenti ad una dimensione più alta e diversa rispetto a quella oggettiva. Una dimensione che è al tempo stesso impregnata di realtà e di accesa spiritualità.
Le composizioni sono calibrate da contrappesi e misure che evocano il rigore formale dell’opera di Piet Mondrian. L’uso della luce assume in lui valori assoluti, senza riferimento alle ore del giorno. I suoi muri intonacati a calce, i tratti di un mare sempre calmo ed azzurrissimo ci fanno calare in quel senso di lieve inquietudine tipico della Metafisica. Ma dove tutto appare semplice e naturale non manca un accentuato simbolismo: come quando il lembo di una candida tenda sollevata da una brezza improvvisa non può non rammentarci il Beato Angelico in una delle sue Annunciazioni. Quasi completamente assente dalla sua pittura è l’ingombro della figura umana, certamente non casuale. È come se la genuinità del narrato avesse bisogno di affrancarsi dalle elucubrazioni cerebrali per esaltarsi invece in una dimensione dove tutto si quieta nel godimento dell’essenziale. Dove il lieve turbamento iniziale della realtà osservata si dissolve nella serenità della pacificazione.
Ogni cosa, allora, è al suo posto. In questo mondo apparentemente spopolato un prodigio sta per compiersi e all’assenza succede l’attesa:
“tempo sospeso ad alcunché tra oscuro
e manifesto quando pare certo
che il vero non sia in noi, ma in un segreto
o un miracolo prossimo a svelarsi”
(M. Luzi)
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