Cosa, nel profondo della sua anima e della sua psiche, l’ha spinta a scrivere questi racconti oscuri e filosofici?

Forse l’ansia che provo nei confronti del mondo in cui viviamo. Un mondo colmo di una violenza spietata che scorre senza tregua. Nel cuore di queste lotte mortali, gli esseri umani sono più politicizzati che mai, ed è proprio questo sentimento che mi ha spinto a scrivere.

Quali esperienze della sua vita si riflettono in queste opere?

Paure, sofferenze e preoccupazioni interiori ed esteriori si riflettono in modi diversi nei miei scritti. Non però nella stessa forma in cui le ho vissute, ma trasfigurate; in modo da restare più fedeli all’essenza di quell’esperienza che alla sua superficie.

Questi racconti sono un riflesso della sua rabbia, delle sue paure o delle sue disperazioni personali?

Senza dubbio non sono privi di legami con me. Anche se non tutte le storie hanno radici nella mia vita personale, nel momento della creazione mi sono trovato colmo di rabbia, paura, speranza e disperazione. Anche quando una storia nasce dalla vita di un altro, passa comunque attraverso il mio filtro e si avvicina alla mia voce. In ultima analisi, tutte le opere sono profondamente personali.

Cosa trova di terapeutico nello scrivere questi racconti?

Per me scrivere è come espellere ciò che si è accumulato nelle profondità e mi tormenta. Molti dilemmi e pensieri non risolti che nella mia vita mi hanno ferito, una volta trasformati in racconto, hanno smesso di avere lo stesso peso opprimente. È come un sangue che deve essere sputato: dopo averlo scritto, non mi tormenta più nello stesso modo.

Come è entrato nei mondi immaginari e oscuri di questi racconti?

Ogni notte, nella mia solitudine, cerco di osservare le cose che incontro lungo il cammino della vita da un’angolatura diversa. Tento di raccontare la realtà in una forma che si allontani da quella consueta, ma che al tempo stesso ne conservi la sostanza.

In quale momento della sua vita ha sentito il bisogno di esprimere tali sentimenti?

La paura è stata il mio principale motore. Quando vivi in un contesto politicamente inquinato, sei costretto a parlare in maniera impalpabile, indiretta. È lì che questo tipo di scrittura narrativa è diventato per me rifugio e strumento di espressione.

Quali influenze della psicologia o della filosofia hanno contribuito alla formazione di questi testi?

Sono stato profondamente influenzato dalla filosofia e dalla psicologia, soprattutto dal desiderio di riuscire a mettermi nei panni degli altri. Talvolta persino negli oggetti. Attribuire loro una sorta di coscienza e immaginare, a partire da quella consapevolezza ipotetica, le loro azioni. Questo sguardo ha dato forma al mio mondo narrativo.

Qual è l’aspetto che più riflette il suo io interiore in questi racconti?

Più di ogni altra cosa, la mia mente erratica e il vivere costantemente immerso nelle mie fantasie. L’ansia e la paura per il futuro mio e delle persone che amo. Queste ombre si stendono pesantemente sui miei scritti. Mi tormenta continuamente la domanda: che ne sarà di questo villaggio, di questo mondo?

Questi scritti sono una confessione o una lotta contro emozioni represse?

No, non sono confessioni. Sono piuttosto rappresentazioni di situazioni vissute, ma in una forma che porta con sé più tensione e intensità. A volte il racconto diretto di un evento ha poco impatto sul lettore, mentre alterandone la forma e accentuandone l’aspetto emotivo, il dolore diventa più tangibile.

Che relazione esiste tra i personaggi dei racconti e lei stesso?

Ogni personaggio ha un legame con me. Le ombre sono segni della mia paura dell’altro: a volte paura di chi mi insegue, a volte di me stesso. Per ogni racconto creo un’atmosfera in cui possa vivere insieme al personaggio, condividendone in parte il destino.

Questi racconti sono simbolici o riflettono direttamente i suoi sentimenti?

Non cerco consapevolmente di costruire simboli. Forse presto attenzione a segni intertestuali, ma non desidero che sulle mie storie venga apposta l’etichetta di “simboliche”.

Questi scritti sono una forma di protesta o di reazione alla società e all’uomo contemporaneo?

Ogni azione è, naturalmente, una reazione. È inevitabile che i miei scritti riflettano la società e l’uomo contemporaneo. Ma più che essere un autore ribelle o radicale, per me è importante l’onestà. Preferisco che emerga il mio amore per la verità, piuttosto che il mio spirito di protesta.

Scrivere questi testi per lei è una ricerca del senso della vita?

È più un’esperienza che una ricerca di significato. Un’esperienza accompagnata da sofferenza e talvolta da tormento. Scrivere per me significa creare mondi paralleli: mondi in cui, dopo ogni racconto, una parte del mio essere resta sepolta.

Questi racconti possono essere considerati un esempio di filosofia esistenziale o di esistenzialismo?

In un certo senso sì. Perché nascono da domande fondamentali sull’esistenza, sulla paura, sulla libertà e sull’angoscia. I racconti sono piuttosto il riflesso del mio confronto con situazioni esistenziali che non un tentativo di costruire una teoria filosofica.

Quale pensa sia l’effetto principale che la lettura di questi racconti ha sul lettore?

Spero che il lettore, attraverso di essi, possa entrare in un mondo mentale diverso, scoprire una parte delle proprie realtà interiori e varcare la soglia di uno spazio nuovo. Se lungo questo cammino la sua creatività viene solleticata e, alla fine, prova il piacere di aver letto un buon racconto, per me è sufficiente.

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